Il bandito Turiddu Giuliano, figura ambigua e sfuggente, dai mille volti, fu soggetto di decine di scritti biografici, saggi, articoli giornalistici e romanzi – basti ricordare The Sicilian, di Mazio Puzo, edito nel 1984 – ballate di cantastorie, drammi teatrali e sceneggiature. Notizie di veri o presunti progetti cinematografici sulla storia di Turiddu sono riportate su giornali e riviste di quegli anni. In particolare, due articoli pubblicati sul «Corriere di Sicilia» e «Momento sera» il 22 ottobre 1952 annunciavano la prossima uscita di un film (Mamma Giuliano racconta) con la regia di De Sica in cui Maria Lombardo (la madre) e Mariannina Sciortino (la sorella) raccontavano, dietro il lauto compenso di 365 milioni di lire, le ansie di una famiglia con un figlio alla macchia. Il gruppo di cineasti stava solo attendendo l’autorizzazione ministeriale per il primo ciak. In una nota del Direttore generale dello spettacolo al Gabinetto del Ministero dell’interno (3 novembre 1952) che faceva seguito proprio a quanto apparso su alcuni giornali e già accaduto un anno prima, si consideravano voci prive di fondamento sia questa relativa al progetto De Sica sia un’altra attribuita al regista Frank Capra e si ribadiva che l’ufficio «non avrebbe in nessun caso autorizzato una simile iniziativa e che mai sarebbe stato concesso il visto di proiezione in pubblico ad un film che si riferisse alla vita del bandito siciliano». Le ragioni, legate alle critiche suscitate «in molte sfere dell’opinione pubblica ben pensante» con riflessi sulla politica interna ed estera, sono esplicitate in un’altra nota inviata dal Comando gen. dell’Arma dei Carabinieri alla Direzione gen. di P.S. nella medesima data. Entrambi i documenti, qui riportati, appartengono al citato fondo del MI.
D’altra parte, l’eco delle gesta di Giuliano e delle polemiche che ne sono scaturite non s’è ancora spenta, perché sia il caso di alimentarle attraverso una produzione cinematografica, che indubbiamente esaspererebbe la curiosità delle masse. || Crederei pertanto opportuno un intervento deli organi centrali competenti diretto, se possibile, nei modi che saranno giudicati più convenienti, ad evitare la realizzazione del film o, quanto meno, ad eliminare da esso ogni spunto che possa comunque riaccendere commenti, recriminazioni, considerazioni o induzioni esiziali per la reputazione di Istituti ed Autorità.
Non a caso, per ottenere l’autorizzazione all’uscita del film I fuorilegge (o I fuorilegge di Montelepre) di Aldo Vergano, come si legge nella relativa pratica conservata dell’archivio del Ministero turismo e spettacolo (Direzione generale dello spettacolo, Cinema, Fascicoli per opera) si assicura che l’opera si propone di offrire un quadro obiettivo e al di fuori di ogni speculazione del fenomeno del banditismo quale può risultare dalla descrizione delle conseguenze di una tragica situazione come quella creatasi a Montelepre. La figura di giuliano non appare nel film nemmeno indirettamente (…) L’azione della polizia è mostrata in tutta la sua intensità d’interventi (…) La situazione dei fuorilegge appare costantemente come disperata e ormai prossima alla liquidazione finale (…) I banditi non appaiono in alcun modo romanticizzati, né il pubblico è indotto a simpatizzare con essi (…).
Nel lancio del film nelle sale (1952) non mancarono, però, chiare allusioni al bandito Giuliano volte a suscitare la curiosità del pubblico, come si vede dalla locandina pubblicata sui quotidiani.
L’ambigua indeterminatezza del bandito Giuliano, poeticamente sintetizzata nella ballata di Ignazio Buttitta La vera storia di Sarvaturi Giulianu, edita nel 1963 («Iu num sugnu profeta né induvinu, | dicu ca lu briganti Giulianu j fici lu jocu chi fa lu pallinu |ca di una manu passa a n’autra manu; | dicu ca ntirissata e mala genti | ci canciò cunnutati e sintimenti») trova concretezza nella tecnica di ripresa adottata da Francesco Rosi nel suo film-inchiesta Salvatore Giuliano del 1961. Una deliberata assenza del volto del protagonista, filmato sempre di spalle. La sceneggiatura dattiloscritta – che si apre con la morte di Salvatore Giuliano e si chiude con quella di Gaspare Pisciotta – si trova nel citato fondo del Ministero turismo e spettacolo (Direzione generale dello spettacolo, Cinema, Lungometraggi) oggi patrimonio dell’ACS.
Si ringrazia Antonio D’Antino Settevendemmie per le ricerche bibliografiche.
Simonetta Ceglie, Responsabile Servizio Valorizzazione e promozione documentario.