Archivio Centrale dello Stato

Portella della Ginestra, la strage del 1° maggio 1947

Primo maggio 2022: Portella della Ginestra 75 anni dopo

Ore 10,30 – Circa 400 persone Comuni Piana Albanesi e S. Giuseppe Jato giunti in località Portella-Ginestra scopo celebrazione anniversario odierno stati improvvisamente fatti segno da vicino Monte La Pizzuta da fuoco armi automatiche opera sconosciuti, poco dopo allontanatisi verso S. Giuseppe Jato. Finora lamentansi 8 decessi e oltre 10 feriti. || Dall’Alto Commissariato sono stati inviati sul posto 100 carabinieri con 3 autoblinde.

(…) Riassumo fatti accaduti località Portella Ginestra Comune Piana Albanesi (Palermo). Ore 10,30 primo maggio circa 1000 persone comuni Piana Albanesi, S. Giuseppe Jato e S. Cipirello si riunirono come tempi pre et post fascismo citata contrada Portella Ginestra per celebrazione festa lavoro. Mentre oratore Blocco Popolo riuscito in Piana Albanesi vittorioso elezioni regionali iniziava discorso, numerose raffiche armi automatiche – finora stabilito mitra – provenienti limitrofi costoni rocciosi poco distanti durante circa 10 minuti, causavano morti e feriti tra popolazione inerme. Malfattori dileguatesi dietro predetti costoni. Tra civili morti sette tra cui una donna nonché 33 feriti di cui 3 donne e un bambino. Immediata azione intesa autorità politica e P.S. rinforzi anche con autoblindo ricerche portato finora 50 fermi tra Piana Albanesi e S. Giuseppe Jato. 14 ricercati tra cui pregiudicati irreperibili. Servono indagini ricerche energiche ampio raggio. Misure adottate valse evitare reazione. Fermento est vivo et diffondentesi provincia con possibilità estese ripercussioni. Vuolsi trattarsi organizzazione mandanti più centri appoggiati mafia at sfondo politico con assoldamento fuori legge.

Seguito precedenti dichiarazioni p.n. relative eccidio Portella Ginestra Piana degli Albanesi (Palermo) durante ulteriori ricognizioni zona suindicata rintracciate complessive 6 postazioni armi un fucile mitragliatore Breda mod. 30 con 4 caricatori vuoti et circa 200 bossoli armi automatiche varie et fucili auto-moschetto anche americane (…)

 

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Queste tre informative, inviate “a caldo” dal Comando dei Carabinieri di Palermo alle autorità centrali, sedimentate oggi tra le carte del Ministero dell’interno, ci riportano a quel primo maggio insanguinato del 1947, quando un manipolo di banditi, appostato tra i costoni rocciosi di Portella della Ginestra, fece fuoco sulla folla inerme riunitasi nella piana per celebrare la festa dei lavoratori. Rimasero sul campo decine di vittime – 12 morti e 27 feriti – tra cui donne e bambini. Ideata ed attuata per frenare «quell’ineluttabile grande passaggio dalla Sicilia antica alla Sicilia moderna e democratica» – come scrive Francesco Renda nella sua recente biografia storica di Salvatore Giuliano – l’eccidio di Portella della Ginestra è uno snodo chiave della storia italiana contemporanea. Primo dei misteri irrisolti dell’Italia post-bellica, con questa strage ebbe inizio un disegno politico che condizionò non solo la storia della Sicilia ma dell’intero Paese. Fin da subito, per tenere a bada il «fermento vivo et diffondentesi provincia con possibilità estese ripercussioni» rivolto contro la mafia locale ritenuta responsabile del massacro e per mettere a tacere l’opinione pubblica nazionale e internazionale, le forze di polizia non lesinarono in uomini e mezzi, tanto che verso la fine di agosto «seguito attive indagini esperite da questo Ispettorato – così recita un telegramma “riservato” del questore di Palermo al capo della polizia di Roma del 21 agosto 1947 – sono stati identificati tutti responsabili eccidio Portella Ginestra organizzato et diretto da noto bandito Giuliano Salvatore. || Sono stati tratti arresto 16 esecutori materiali dei quali fino ora 12 sono confessi anche davanti autorità giudiziaria». Ma né la morte violenta e piena d’interrogativi del capobandito – il re di Montelepre – avvenuta nella notte tra 4 e 5 luglio 1950 a Castelvetrano né le sentenze della Corte d’assise di Viterbo e Roma, che decretarono la colpevolezza di 36 membri della banda Giuliano seppur sullo sfondo si stagliava con chiarezza la funzione della mafia e le connivenze tra potere politico-mafioso e banditismo nella vicenda, dipanarono l’intricata matassa. Un processo contro i mandanti non fu mai celebrato.

A 75 anni dai fatti di sangue, si riportano una serie di materiali tratti dai fascicoli dedicati all’Eccidio di Piana della Ginestra (Palermo) e a Salvatore Giuliano e al Processo di Viterbo alla banda Giuliano per i fatti della Ginestra presenti nel fondo del Ministero dell’Interno (Gabinetto, Archivio generale) conservato presso l’Archivio centrale dello Stato. Tra questi, oltre i documenti citati, si evidenziano le traduzioni in lingua italiana di due articoli, pubblicati da testate estere – «The New York Times» del 7 settembre 1949 e «Swiat» del 27 gennaio 1952 – che riflettono, con ottiche divergenti, sui fatti di Portella; il testo stenografico del discorso pronunciato a margine del processo di Viterbo dal senatore Ottavio Pastore, giornalista e politico PCI, durante un comizio (Torino, 13 gennaio 1952) in cui si evidenziano le collusioni tra il bandito Giuliano e il ministro dell’Interno Scelba; e il manifesto con la prima taglia (800.000 lire) posta dal prefetto su Salvatore Giuliano di Montelepre (18 febbraio 1946). La seconda taglia (3 milioni di lire) fu affissa dopo l’eccidio di Portella della Ginestra; la terza, “ufficiosa”, (50 milioni di lire e un passaporto per l’estero) – fu decisa verso la fine del 1949 per convincere Gaspare Pisciotta, braccio destro di Giuliano, a collaborare alla sua cattura (o a fare fuori il bandito, ormai scomodo).

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Una rassegna di articoli delle maggiori testate dedicati ai punti salienti della vicenda – dalla strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947) alla morte all’Ucciardone di Gaspare Pisciotta per un caffè “corretto” alla stricnina (9 febbraio 1954) – è tratta (su ricerca del dott. Antonio D’Antino Settevendemmie) dal patrimonio della biblioteca dell’ACS.

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Il bandito Turiddu Giuliano, figura ambigua e sfuggente, dai mille volti, fu soggetto di decine di scritti biografici, saggi, articoli giornalistici e romanzi – basti ricordare The Sicilian, di Mazio Puzo, edito nel 1984 – ballate di cantastorie, drammi teatrali e sceneggiature. Notizie di veri o presunti progetti cinematografici sulla storia di Turiddu sono riportate su giornali e riviste di quegli anni. In particolare, due articoli pubblicati sul «Corriere di Sicilia» e «Momento sera» il 22 ottobre 1952 annunciavano la prossima uscita di un film (Mamma Giuliano racconta) con la regia di De Sica in cui Maria Lombardo (la madre) e Mariannina Sciortino (la sorella) raccontavano, dietro il lauto compenso di 365 milioni di lire, le ansie di una famiglia con un figlio alla macchia. Il gruppo di cineasti stava solo attendendo l’autorizzazione ministeriale per il primo ciak. In una nota del Direttore generale dello spettacolo al Gabinetto del Ministero dell’interno (3 novembre 1952) che faceva seguito proprio a quanto apparso su alcuni giornali e già accaduto un anno prima, si consideravano voci prive di fondamento sia questa relativa al progetto De Sica sia un’altra attribuita al regista Frank Capra e si ribadiva che l’ufficio «non avrebbe in nessun caso autorizzato una simile iniziativa e che mai sarebbe stato concesso il visto di proiezione in pubblico ad un film che si riferisse alla vita del bandito siciliano». Le ragioni, legate alle critiche suscitate «in molte sfere dell’opinione pubblica ben pensante» con riflessi sulla politica interna ed estera, sono esplicitate in un’altra nota inviata dal Comando gen. dell’Arma dei Carabinieri alla Direzione gen. di P.S. nella medesima data. Entrambi i documenti, qui riportati, appartengono al citato fondo del MI.

D’altra parte, l’eco delle gesta di Giuliano e delle polemiche che ne sono scaturite non s’è ancora spenta, perché sia il caso di alimentarle attraverso una produzione cinematografica, che indubbiamente esaspererebbe la curiosità delle masse. || Crederei pertanto opportuno un intervento deli organi centrali competenti diretto, se possibile, nei modi che saranno giudicati più convenienti, ad evitare la realizzazione del film o, quanto meno, ad eliminare da esso ogni spunto che possa comunque riaccendere commenti, recriminazioni, considerazioni o induzioni esiziali per la reputazione di Istituti ed Autorità.

Non a caso, per ottenere l’autorizzazione all’uscita del film I fuorilegge (o I fuorilegge di Montelepre) di Aldo Vergano, come si legge nella relativa pratica conservata dell’archivio del Ministero turismo e spettacolo (Direzione generale dello spettacolo, Cinema, Fascicoli per opera) si assicura che l’opera si propone di offrire un quadro obiettivo e al di fuori di ogni speculazione del fenomeno del banditismo quale può risultare dalla descrizione delle conseguenze di una tragica situazione come quella creatasi a Montelepre. La figura di giuliano non appare nel film nemmeno indirettamente (…) L’azione della polizia è mostrata in tutta la sua intensità d’interventi (…) La situazione dei fuorilegge appare costantemente come disperata e ormai prossima alla liquidazione finale (…) I banditi non appaiono in alcun modo romanticizzati, né il pubblico è indotto a simpatizzare con essi (…).
Nel lancio del film nelle sale (1952) non mancarono, però, chiare allusioni al bandito Giuliano volte a suscitare la curiosità del pubblico, come si vede dalla locandina pubblicata sui quotidiani.
L’ambigua indeterminatezza del bandito Giuliano, poeticamente sintetizzata nella ballata di Ignazio Buttitta La vera storia di Sarvaturi Giulianu, edita nel 1963 («Iu num sugnu profeta né induvinu, | dicu ca lu briganti Giulianu j fici lu jocu chi fa lu pallinu |ca di una manu passa a n’autra manu; | dicu ca ntirissata e mala genti | ci canciò cunnutati e sintimenti») trova concretezza nella tecnica di ripresa adottata da Francesco Rosi nel suo film-inchiesta Salvatore Giuliano del 1961. Una deliberata assenza del volto del protagonista, filmato sempre di spalle. La sceneggiatura dattiloscritta – che si apre con la morte di Salvatore Giuliano e si chiude con quella di Gaspare Pisciotta – si trova nel citato fondo del Ministero turismo e spettacolo (Direzione generale dello spettacolo, Cinema, Lungometraggi) oggi patrimonio dell’ACS.

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Si ringrazia Antonio D’Antino Settevendemmie per le ricerche bibliografiche.

Simonetta Ceglie, Responsabile Servizio Valorizzazione e promozione documentario.

Data:
2 Maggio 2022