Archivio Centrale dello Stato

Musiche e musicisti dietro un filo spinato

Autentico Patrimonio dell’Umanità, la musica concentrazionaria è una delle eredità più significative della Storia universale ricevuta dal fenomeno delle deportazioni: segno tangibile del fatto che dove non c’è libertà ma c’è carta e strumenti musicali, carta e strumenti musicali diventano la libertà. Sfortunatamente, non siamo stati in grado di salvare la vita di uomini e donne, ma abbiamo salvato la loro musica e questo è lo stesso che aver salvato le loro vite in un senso metastorico e metafisico. Quello che dobbiamo fare ora è restituire all’umanità questo Patrimonio codificato su ogni tipo di supporto materiale, come quaderni, carta igienica, telegrammi, cartoline, sacchi di iuta, o anche tramandato attraverso la memoria, affinché possa riguadagnare il posto che merita nella storia della musica.

Questa la spinta ideale, l’imperativo categorico che ha mosso Francesco Lotoro, pianista e direttore d’orchestra pugliese, a dedicare la sua vita alla ricerca e al recupero di questo straordinario tesoro musicale e di memoria. In oltre trent’anni di lavoro sono state rinvenute più di 8.000 partiture – spesso prodotte in una condizione di privazione dei più elementari diritti umani, in campi di concentramento, sterminio e prigionia civili e militari di tutto il mondo dal 1933 (apertura del campo di Dachau) al 1953 (morte di Joseph Stalin e amnistia per i prigionieri dei gulag), cioè dall’ascesa del nazionalsocialismo alla fine dello stalinismo sovietico – 12.500 documenti di produzione musicale nei Campi (microfilm, diari, quaderni musicali, registrazioni fonografiche, interviste a musicisti sopravvissuti) e 3.000 pubblicazioni universitarie, saggi di musica concentrazionaria e altri saggi musicali prodotti nei Campi. Un’eredità artistica e umana che tornerà a vivere nella Cittadella della Musica concentrazionista in progetto a Barletta, pensata come il più grande centro al mondo dedicato alla musica di prigionia, patrimonio artistico, culturale e spirituale dell’umanità tutta.

Musiche dei più diversi generi – classica, da ballo, jazz, inni sacri, canti, canzonette, opere liriche, cabaret, ecc.- sono state composte e suonate, in gran parte da musicisti ebrei (nei lager nazisti se ne contano oltre 1600), anche nei quarantotto Campi del duce, attivati con l’entrata in guerra dell’Italia per isolare e controllare gli stranieri nemici, evitando atti di spionaggio o sabotaggio. In realtà quasi tutti gli ebrei stranieri (emigranti, profughi) presenti in Italia, prima tollerati, vennero espulsi o arrestati e internati. Fra questi, un buon numero erano gli intellettuali e gli artisti, in special modo musicisti e cantanti attratti dal Paese del belcanto. In diversi casi si riuscì a fare musica «nonostante tutto». «Molti di loro – scrive Raffaele De Luca nel suo saggio Tradotti agli estremi confini. Musicisti ebrei internati nell’Italia Fascista (2019) – riuscirono a scrivere musica, a insegnarla, a reperire strumenti musicali e spartiti. Riuscirono a formare cori e orchestre di internati, per mantenere e ricreare con la musica, un’identità culturale e umana che era stata violata dalle persecuzioni razziali». Nel Campo di Ferramonti di Tarsia (CS), struttura a baraccamenti (oltre 90 baracche) sita in zona malarica e desolata nella valle del Crati, confluirono il maggior numero di ebrei stranieri e apolidi. Nelle liste di internati (1940-1943) – oltre 3000 reclusi – risultano anche stranieri delle più varie etnie (tra cui cinesi, greci, francesi, ex jugoslavi, sinti e rom) e oppositori del regime. Il secondo, per numero di ebrei rilevati, fu il Campo di Campagna (SA), dove c’era una biblioteca e una piccola orchestra. In particolare, a Ferramonti, dato l’alto livello professionale, artistico e culturale degli internati, pur in precarie condizioni igienico-sanitarie e malnutriti, la creatività non fu spenta. Si sviluppò così una composita vita comunitaria: «sorsero circoli culturali, filatelici, corsi di musica e di pittura, partite di calcio, tornei di scacchi» – nota ancora De Luca – volendosi preservare l’istruzione, la cultura, l’arte, la musica, cioè una parvenza di normalità, pur nei rigidi confini dei regolamenti e del controllo politico superiore, sempre attento e pronto all’azione. Tra le iniziative musicali, si menzionano i Bunter abend (Serate colorate), ossia i concerti dell’orchestra delle baracche, tenuti più o meno ogni mese in una delle baracche adibita a sala della musica con strumenti musicali scampati alle persecuzioni, trafugati o reperiti in loco, davanti a oltre 300 spettatori. Un’esperienza molto forte emotivamente, da ricordare tutta la vita, come attestano le testimonianze raccolte. Tra le carte del pianista-compositore viennese Kurt Sonnenfeld (1921-1997), oggi conservate nell’Archivio storico del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano (fondo Kurt Sonnenfeld-Schwarz), si trovano annotate le attività musicali, con tanto di programmi di sala dattiloscritti in cui si elencano i brani eseguiti e i nomi degli esecutori. Il giovane musicista, ebreo austriaco, rifugiatosi in Italia nel 1939 a seguito dell’Anschluss nella speranza di trasferirsi negli USA e arrestato a Milano nel 1941, fu tra i pochi a vivere l’intera parabola dell’internamento del Campo di Ferramonti, dove rimase fino al 12 settembre 1945. Tre documenti, conservati presso l’Archivio centrale dello Stato e qui riportati, testimoniano tappe della sua prigionia a Ferramonti (25 febbraio 1941). La documentazione è tratta dall’archivio della Direzione generale di pubblica sicurezza, organo del Ministero dell’interno preposto a sovrintendere, tramite questure, prefetture e podestà, alle procedure relative all’internamento civile nei campi, nei comuni di internamento libero e al confino politico (MI, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Archivio generale, Ufficio internati, A4bis, b.327).

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Nei fascicoli personali dell’Ufficio internati, si ritrovano dati biografici e varie informazioni su altri protagonisti della musica di prigionia, come Lav Fritz Mirski, Bodgad Zins e Charles Abeles. Il primo, ebreo croato di Zagabria (1893-1968), era direttore d’orchestra, violoncellista e compositore di grande talento e carisma. Arrestato dai tedeschi riuscì a sfuggire ai lager croati, raggiungendo Trieste dove fu tradotto in carcere, come si legge in un telegramma del prefetto Testa, datato 19 settembre 1941. Da lì fu trasferito, insieme a un cospicuo nucleo di internati provenienti dalla ex Jugoslavia a Ferramonti, divenendo figura centrale nelle varie attività musicali e nell’insegnamento della musica. Pochi giorni dopo la liberazione del campo Mirski divenne direttore della Repubblica di Ferramonti, cioè del Campo non più fascista ma posto sotto il controllo degli Alleati. Si riporta una selezione di documenti relativi a Mirski (Ufficio internati, A4bis, b.123).

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Notizie preziose su studi e carriera artistica e sulle difficoltà, per un pianista internato, nell’esercizio e nella pratica dello strumento, affiorano nel fascicolo di Bodgad Zins (1905-1994), polacco cattolico di Stanislawòw (distretto di Mińsk), pianista, compositore e direttore d’orchestra, poliglotta, laureato in discipline giuridiche. Internato a Campagna (SA), dove fu direttore di una Lagerkapelle del Campo e pianista concertista, fu spostato a Ferramonti. Una lettera del vescovo di Campagna, per il quale suonava l’organo della basilica di S. Maria della Pace durante i servizi liturgici, tentò di evitargli il trasferimento (24 marzo 1941). Cenni sulla sua formazione musicale e giuridica a Vienna si trovano in un’istanza al Ministero dell’interno (18 settembre 1941) per ottenere un pianoforte da collocare nel Campo, «dove lui potrebbe esercitare e continuare i suoi studi» senza perdere «la tecnica e l’abilità di suonare» e potendo così «esercitare nell’avvenire la sua arte prediletta, che rappresenta per lui sotto tutti i punti di vista il contenuto e lo scopo della sua vita» (Ufficio internati, A4bis, b.382).

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Nel fascicolo di Charles Abeles (1903-1987), pianista e compositore di Zurigo, «suddito tedesco di razza ebraica di religione cattolica» – come si definisce lui stesso in un’istanza del 10 gennaio 1942 – sono testimoniate tutte tappe del suo internamento nei Campi fascisti, dalla Casa rossa nei pressi di Alberobello, dove giunse il 30 luglio 1940. «Posto umido e freddo senza nessun riscaldamento», da cui ottenne il trasferimento prima a Ferramonti e, infine, a Campagna, per ricongiungersi al cugino (nulla osta del 14 febbraio 1943). Tra i documenti riportati, si possono visionare anche alcuni relativi alla pratica per ottenere l’autorizzazione al ricongiungimento con la moglie Rosa (1941-1942) (Ufficio internati, A4bis, b.12).

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Il pianista svizzero compose ad Alberobello il 14 novembre 1941 – come riportato sul manoscritto – un valzer rondò, intitolato Felicità op. 282, che si può ascoltare per gentile concessione della Fondazione Istituto di letteratura musicale concentrazionaria (ILMC). Ascolta il brano musicale QUI

 

Se la musica fu un modo per evocare la vita, per non arrendersi, «farla conoscere al mondo e suonarla anche solo una volta – evidenzia il Maestro Francesco Lotoro, fondatore e presidente della Fondazione ILMC – significa riscattarla e ottenere quella giustizia che non è stata concessa al compositore». Sarà proprio il Maestro ad incontrare gli studenti delle scuole secondarie romane il prossimo 20 febbraio alle ore 10.00 presso la Sala convegni dell’Archivio centrale dello Stato per la manifestazione Musiche e immagini di una tragedia. Gli ebrei di Roma dalla vita quotidiana alla Shoah, organizzata nell’ambito delle celebrazioni del Giorno della Memoria 2023.  Durante l’incontro verranno proiettate e commentate dal prof. Amedeo Osti Guerrazzi, su cortese concessione della Fondazione Museo della Shoah di Roma, oltre 90 immagini rappresentanti un contesto di vita quotidiana libero, prima della tragedia collettiva.

L’iniziativa, ideata in collaborazione con la Comunità ebraica di Roma, rientra negli eventi commemorativi organizzati dall’Archivio centrale dello Stato per la “Giornata della memoria 2023”. Rientra in tali eventi commemorativi anche il prossimo incontro della rassegna Conversazione con gli autori, in programma il 13 febbraio alle ore 16.00 presso la Sala convegni dell’Archivio centrale dello Stato, dedicato alla presentazione del saggio di Ilaria Pavan, Le conseguenze economiche delle leggi razziali (Il Mulino, 2022). Interverranno Giorgio Fabre, Annalisa Capristo e Roberto De Rose.

Testo a cura di Simonetta Ceglie

Data:
27 Gennaio 2023