Archivio Centrale dello Stato

Matteotti, una vita per il socialismo e la democrazia

Ricorre quest’anno il centenario dell’uccisione di Giacomo Matteotti, figura di rilievo nella storia politica italiana e straordinario esempio di rigore morale e impegno civile. La sua vita e la sua etica sono da cent’anni fonte di riflessioni e di studi.

Durante la sua attività politica, Matteotti avanzò proposte di riforma su temi come la tassazione, l’agricoltura, la divisione di poteri e risorse tra Stato e comuni e sul funzionamento del parlamento.
“Uomo libero e democratico”, antimilitarista e anticolonialista convinto, fu un coraggioso oppositore del regime fascista. Nei suoi accalorati discorsi parlamentari, denunciò le violenze del regime, i soprusi e il broglio elettorale del 6 aprile 1924. Dopo soli undici giorni dal suo famoso discorso alla Camera del Deputati del 30 maggio 1924, in cui denunciò le irregolarità nella raccolta delle firme e nel voto, le intimidazioni, i pestaggi e l’omicidio del candidato socialista Antonio Piccinini – abusi commessi dai fascisti per riuscire a vincere le elezioni – il Segretario del Partito Socialista Unitario (fondato nel 1922) venne rapito e assassinato dagli squadristi fascisti.

Il corpo di Giacomo Matteotti giace a Fratta Polesine dall’11 ottobre 1928. A 100 anni dal suo assassinio le sue parole risuonano come un monito, ricordandoci il valore della libertà di parola.

Manifesto commemorativo di Matteotti con dedica di Filippo Turati

Manifesto commemorativo di Matteotti con dedica di Filippo Turati

Ripercorriamo la vita del leader socialista

Giacomo Matteotti, nasce il 22 maggio 1885 a Fratta Polesine, vicino a Rovigo, paese natale di sua madre Isabella Garzarolo. Suo padre, Girolamo Stefano Matteotti, originario di Comasine (TN), lavorava e commerciava utensili metallici: era un piccolo imprenditore che si era stabilito in via definitiva nella pianura veneta e aveva sposato Isabella nel 1975. Dalla loro unione nascono sette figli, quattro dei quali muoiono in tenera età (Ginevra, Dante, Acquino e Giocasta). Sopravvivono il primogenito Matteo (nato nel 1876), Giacomo e Silvio (nato nel 1887).

Tutta l’area del Polesine, alla fine dell’800 era una delle zone più povere d’Italia, devastata da miseria, fame, abitazioni malsane, malattie e morti infantili. Tuttavia i Matteotti hanno una bottega situata al centro dei Fratta, dove si vende di tutto: tessuti, attrezzi agricoli, casalinghi e ferramenta, che gli consente di vivere senza preoccupazioni e gli procura anche crescenti guadagni. Grazie ad essi e alla loro oculatezza, la famiglia riesce ad acquistare terreni agricoli e fabbricati sparsi nei paesi limitrofi, che rivelano degli investimenti vincenti. Nel 1924, anno della morte di Giacomo, i loro possedimenti ammontavano a circa 156 ettari.

 

Il carattere da leader di Giacomo Matteotti 

Consapevole di quanto lo studio, la volontà e la costanza siano determinanti per emergere, Giacomo Matteotti frequenta con forte impegno il ginnasio-liceo Celio di Rovigo e diventa un punto di riferimento per i compagni di studio. Si appassiona alle vicende storiche del suo territorio, studiando le dominazioni straniere attraverso ricerche in archivi e biblioteche. Oltre alla storia, nutre interesse per l’arte e la letteratura. La povertà estrema dei braccianti agricoli locali, afflitti da malattie endemiche a causa della posizione geografica (del delta del Po, frequentemente inondato), lo colpisce profondamente. Spinto da un sentimento di solidarietà per i braccianti polesani, si iscrive al partito socialista, che all’epoca conta solo 10 sezioni su 63 comuni.

La sua formazione intellettuale e politica è indirizzata dal fratello maggiore Matteo, studioso di economia politica e militante socialista, con cui condivide la lettura e l’analisi dei testi fondamentali della cultura marxista e positivista.
A 16 anni Giacomo firma, con uno stile didascalico, il suo primo articolo su La Lotta, il settimanale socialista del Polesine. La collaborazione sul periodico polesano produrrà una serie di articoli di timbro marxista, con una visione evoluzionista e positivista della storia: «la proprietà è la cagione di tutti i mali» scriverà in seguito, sostenendo che il socialismo sia l’unica speranza di cambiamento.

L’anno seguente perde suo padre Girolamo, che nel paese non godeva di buona fama. Sua madre, cinquantenne e semianalfabeta, si dimostra una donna di grande volontà, risoluta e lungimirante, in grado di gestire le finanze della famiglia.

 

Gli studi e l’impegno politico

Dopo il liceo si iscrive con profitto alla Facoltà di Giurisprudenza all’Università di Bologna e perfeziona i suoi studi compiendo viaggi in Europa: soggiorna in Germania, Austria, Svizzera, Francia e Inghilterra, apprendendo le lingue locali. Seguendo le orme del fratello maggiore Matteo, continua ad interessarsi ai problemi socio-economici del Polesine. A soli due mesi dalla laurea viene eletto Consigliere comunale del suo paese natale, Fratta Polesine. Si laurea nel novembre 1907 cum laude con una brillante tesi su “Principi generali di recidiva”, un argomento del diritto penale che prende in considerazione le ricadute nello stesso reato per opera di un medesimo soggetto.

Il suo impegno nella politica locale gli procura l’incarico di assessore, sindaco e, a 25 anni, di Consigliere provinciale di Rovigo (8 agosto 1910). Quest’ultimo incarico lo costringe a rientrare da Oxford: il Consiglio provinciale respinge infatti le sue dimissioni. È la sua prima significativa apparizione sulla scena politico-amministrativa.
Nel frattempo, non abbandona l’intento di proseguire la libera docenza in diritto penale e, anche su incoraggiamento del suo relatore e maestro liberale Alessandro Stoppato, Giacomo Matteotti pubblica, rielaborando la sua tesi di laurea, “La Recidiva. Saggio di revisione critica con dati statistici”: 434 pagine in cui coniuga il profilo etico del magistero penale con la criminologia, riportando la recidiva nell’alveo giuridico.
Collabora ad altri giornali socialisti tra cui Critica sociale, fondato da Anna Kuliscioff e Filippo Turati nel 1891, tra i fondatori del Partito dei Lavoratori Italiani (agosto 1892), che sancì la separazione dei socialisti dagli anarchici. Il PLI, diventa nel 1893 Partito Socialista dei Lavoratori Italiani e nel 1895 Partito Socialista Italiano, il più antico partito politico in senso moderno e la prima formazione organizzata della sinistra in Italia.

 

Contro il militarismo per motivi ideali e politici

Nell’attività politica e nei suoi articoli, Matteotti manifesta una rigida avversione nei confronti delle imprese coloniali e delle guerre in genere, che considera strumenti di coercizione antiproletaria e di regressione economico-sociale per le classi lavoratrici.
Condannando la campagna di Libia, durante Consiglio provinciale di Rovigo del 23 febbraio 1912, Matteotti si astiene nella votazione di una proposta per il contributo di mille lire da parte della Provincia a favore dei soldati feriti e delle famiglie povere dei morti nella campagna tripolina: “Io sono e rimango socio della Croce Rossa – afferma – ma dichiaro che mi astengo dalla votazione che ha un significato speciale”.
Pochi mesi dopo, il 9 giugno 1912, Matteotti organizza a Fratta Polesine un comizio di protesta antimilitarista per la conclusione imperialista della guerra di Libia. La polizia vieta il raduno e Matteotti, fermo oppositore delle imprese belliche, non demorde e sposta il comizio nel cortile della sua abitazione, attirando aspre critiche della stampa moderata.

Convinto sostenitore della neutralità italiana, ponendosi nell’ala estrema del partito, Matteotti, con un articolo che desta molto clamore nel 1915 pubblicato sul giornale Critica sociale, teorizza un’insurrezione popolare in nome di un ideale, ancor prima che politico, contro la guerra. Guerra a cui inizialmente non partecipa, poiché viene riformato (5 luglio 1915) a causa di una congenita debolezza polmonare che aveva colpito anche i suoi fratelli, rendendolo unico figlio superstite di madre vedova.

Il 5 giugno 1916 nel corso di una riunione del Consiglio provinciale di Rovigo, interviene con un’invettiva contro la guerra, che gli causa un procedimento penale a suo carico. Richiamato alle armi nel luglio del 1916, viene allontanato dal Polesine per tre anni e confinato in una zona montagnosa nei pressi di Messina, dove rimane fino alla fine del conflitto. Arruolato nella 97.ma Compagnia del 4° Reggimento Artiglieria da Fortezza, serve come goniometrista presso l’Artiglieria di Monte Gallo, al forte di Larderia, e in altri forti del messinese, dall’agosto 1916 al marzo 1919.

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Comunicazione del Comando d’Armata di Bologna, processo per “grida sedizione” nel corso della Seduta del Consiglio Provinciale di Rovigo del 5 giugno 1916, ACS,CPC, b. 3157

 

 

 

 

 

Comunicazione del Comando d’Armata di Bologna, processo per “grida sedizione” nel corso della Seduta del Consiglio Provinciale di Rovigo del 5 giugno 1916, ACS,CPC, b. 3157

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel gennaio 1916, dopo quattro anni di fidanzamento, sposa con rito civile in Campidoglio Velia Titta, poetessa romana conosciuta durante una sua vacanza all’Abetone. Ma a soli otto mesi dal matrimonio, nell’agosto del 1916, è già lontano da sua moglie.

 

Gli ideali politici e la prima elezione a Deputato parlamentare

Matteotti viene eletto in Parlamento per la prima volta nel 1919 nel collegio di Ferrara e nuovamente nel 1921 e nel 1924.
Soprannominato “Tempesta” dai suoi compagni di partito per il carattere battagliero e intransigente, continua la personale battaglia a favore del proletariato in Parlamento, affrontando tematiche cruciali come i sopraprofitti di guerra, il costo politico del pane, la riconversione industriale e la politica finanziaria.

Nonostante le gravi aggressioni e intimidazioni subite dalle formazioni fasciste nel 1920 e 1921, Matteotti denuncia la responsabilità dei governi dei governi Giolitti, Bonomi e Facta nel favorire il proliferare delle squadre fasciste, con la complicità degli apparati statali, del mondo economico, finanziario e intellettuale.
Nel medesimo periodo, il partito socialista affronta una profonda crisi che porta, nel 1921, alla divisione di Livorno, da cui nasce il partito comunista d’Italia, e nel 1922, alla scissione della corrente riformista che crea il partito socialista unitario, di cui Matteotti viene eletto segretario.

Fra le continue intimidazioni del governo fascista, già al potere, e la scarsa collaborazione dei suoi colleghi di partito, Matteotti continua con determinazione in Parlamento la sua lotta per difendere la democrazia contro la violenza del regime, che per primo aveva individuato come repressiva nei confronti dei lavoratori e dei contadini. Contemporaneamente scrive articoli sul giornale La Giustizia, che diventa l’organo ufficiale del neonato partito.
Pubblica nel febbraio 1924 “Un anno di dominazione fascista”, in cui analizza dettagliatamente la condotta del governo e le illegalità commesse. Partecipa a diversi congressi socialisti all’estero, tra cui Lilla, Parigi, Berlino e Bruxelles tra il 1923 e il 1924, informando i colleghi dei partiti socialisti e socialdemocratici europei della vera natura del fascismo.

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Durante le elezioni politiche della primavera del 1924, le ultime dalla parvenza democratica, Matteotti pronuncia in piedi il suo ultimo veemente discorso in Parlamento, contestando i metodi disonesti con cui il governo aveva condotto le elezioni e chiedendo l’annullamento dei risultati elettorali. Pochi giorni dopo, il 10 giugno 1924, tali denunce causano il rapimento e successivamente l’uccisione del deputato da parte di una squadra fascista guidata da Amerigo Dumini. Il processo ai responsabili sarà una beffa e un’offesa per coloro che ancora speravano in una giustizia equa. Dei sette imputati, vengono ritenuti colpevoli i soli Dumini, Volpi e Poveromo di concorso in omicidio preterintenzionale: condannati a 5 anni e 11 mesi di reclusione. Il 31 luglio 1925 viene emanato dal governo il Decreto legge n. 1277, che concede l’amnistia per reati politici, prevedendo la riduzione della pena per i casi di omicidio; tale norma, applicata ai responsabili dell’uccisione di Matteotti, rese liberi i colpevoli.

 

Tessera degli Arditi d’Italia di Amerigo Dumini, l’assassino di Matteotti

La scomparsa di Matteotti ebbe un impatto duraturo sulla storia politica italiana avviando eventi che influenzeranno a lungo il Paese.

La notizia del suo rapimento e omicidio si diffonde velocemente, indignando le forze democratiche e gran parte dell’opinione pubblica moderata che subito individuano il regime fascista, con Mussolini come mandante. Il Governo, sotto la pressione dell’indignazione popolare e delle critiche internazionali, attraversa un periodo di confusione, trovandosi isolato in Parlamento a causa dell’astensione delle opposizioni. Tuttavia, Mussolini riesce presto a ristabilire il controllo della situazione con abili manovre, l’allontanamento di alcuni esponenti chiave e l’arresto degli esecutori materiali del crimine, ottenendo anche il supporto della monarchia.

Il cadavere di Giacomo Matteotti viene ritrovato in una località del comune di Riano il 16 agosto 1924, a circa due mesi dall’omicidio.

In foto: deputati socialisti, giornalisti e polizia alla ricerca del cadavere di Giacomo Matteotti dalla Quartarella al bosco di Vico a Roma. Libera Stampa, n.100-101, 30 aprile/ 1 maggio 1932

In foto: deputati socialisti, giornalisti e polizia alla ricerca del cadavere di Giacomo Matteotti dalla Quartarella al bosco di Vico a Roma. Libera Stampa, n.100-101, 30 aprile/ 1 maggio 1932

 

 

In foto: deputati socialisti, giornalisti e polizia alla ricerca del cadavere di Giacomo Matteotti dalla Quartarella al bosco di Vico a Roma. Libera Stampa, n.100-101, 30 aprile/ 1 maggio 1932

 

 

 

 

 

 

 

 

Il regime fascista continuerà a reprimere ogni forma di opposizione, costringendo gli oppositori del fascismo alla fuga, al confino o alla prigione. Altri saranno uccisi. Ma Matteotti rimarrà nei cuori di molti come un eroe che ha dato la vita per ideali nobili e irrinunciabili. Il 3 gennaio 1925, di fronte alla Camera dei deputati, Mussolini si assunse la responsabilità morale e politica dell’accaduto.

Nei due anni seguenti seguirono una serie di leggi denominate “fascistissime” e la decadenza dei deputati che avevano preso parte alla secessione dell’Aventino come protesta al delitto Matteotti.

 

Discorso di Matteotti alla Camera: Italia – 30 maggio 1924

Presidente (Alfredo Rocco): “Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda!”.
Matteotti: “Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l’oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi all’estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori) … per queste ragioni noi domandiamo l’annullamento in blocco della elezione di maggioranza”.

Voci alla destra “Accettiamo (Vivi applausi a destra e al centro)”.

Matteotti: “[…] Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni.

(Applausi all’estrema sinistra – Vivi rumori)”.

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Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.

 

 


Fonti
“Catalogo della mostra storico-documentaria Giacomo Matteotti”, Arnaldo Forni Editore, 1977
“Giacomo Matteotti”, Fondazione Pietro Nenni, ricerca documentaria di Gianna Granati, 2005
“Sull’assassinio di Matteotti”, Mauro Canali, Il Mulino, 1997

Fonti archivistiche: ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto: Ufficio Cifra, Direzione generale Pubblica Sicurezza, CPC, b. 3157


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Data:
30 Maggio 2024

Ultimo aggiornamento:
10 Giugno 2024, 17:56